giovedì 30 maggio 2013

Il MacS inaugura con Alfio Giurato


 
 
Venerdì 28 giugno 2013 alle ore 20 Inaugurazione del MACS - Museo di Arte Contemporanea Sicilia al Monastero delle Benedettine di Catania, in via Crociferi, con la mostra di Alfio Giurato. Saranno presenti: il Direttore del MACS, Giuseppina Napoli, il curatore del museo Alberto Agazzani e l'artista. “Il progetto MACS – Giuseppina Napoli (Direttore MACS) - dice è fortemente legato alle istanze tendenti alla valorizzazione dei beni culturali del patrimonio siciliano e alla promozione dell’arte contemporanea italiana e internazionale. La filosofia è quella di instaurare un dialogo tra l’arte del passato e l’arte contemporanea. Il luogo che ospita il museo è un contenitore architettonico così prezioso da essere uno dei contesti monumentali più importanti della città di Catania e dell’intera Sicilia. È nella scelta del Monastero delle Benedettine come sede  che c’è l’essenza stessa del MACS”.  Ogni critico d'arte o curatore – aggiunge Alberto Agazzani (Curatore d’arte MACS)dovrebbe incentrare la propria speculazione e la propria ricerca in una direzione espressiva e filosofica ben precisa. La mia da sempre si svolge attorno a due concetti. Bellezza e Tradizione del nuovo. Bellezza non intesa come un mero fattore estetico, ma come categoria etica e spirituale, portatrice di un mistero che ci rimanda al mistero dell'empireo invocato dai nostri antenati. La Tradizione del Nuovo, definizione solo apparentemente ossimorica, è una caratteristica fondamentale di tutta l'arte, di tutti i tempi, ed in particolare di quella italiana. Attraverso i secoli le forme della realtà sono state le medesime (corpi, oggetti, paesaggi, ecc), ma sempre trasfigurate dagli artisti in immagini sempiterne, caricate da pulsioni ed emozioni sempre nuove. L'obiettivo che mi propongo, in sintonia con la direzione del Macs, è proprio quello di dimostrare una serena continuità coi secoli che ci hanno preceduto. Una grande attenzione, dunque, all'espressività, che mai come nel nostro tempo si è arricchita di aspetti inediti, anche grazie agli straordinari apporti della tecnologia e di eventi storici (due guerre mondiali, il terrorismo, il crollo delle ideologie, ecc) mai vissuti in maniera così immediatamente partecipe e documentata. Un'arte bella, da contemplare, comprensibile da tutti sebbene misteriosa. Il Macs ospiterà opere museificate non per i blasoni dei loro creatori, ma per il loro oggettivo valore espressivo, etico ed estetico. Quindi grandi maestri del nostro tempo, ma anche giovani, magari debuttanti che dal Macs possano partire nel loro viaggio. Pittori, scultori, fotografi e videoartisti di ogni parte del mondo, accomunati da un sapere tecnico senza tempo ma prestato a sensibilità contemporanee. […] Il MACS nasce all'interno di uno dei più incredibili luoghi della Sicilia e del mondo. Un monastero di clausura nel quale da secoli si compie il mistero della contemplazione, della preghiera e della meditazione e dove la Bellezza si manifesta come un'emendazione dello spirito. Tutto questo, che giunge a noi da secoli e secoli di storia e meditazione su di essa, costituisce l'impianto espressivo di base del nascente MACS. George Bernanos, nel suo "I dialoghi delle carmelitane", fa esclamare alla santa madre badessa, rivolgendosi all'aspirante novizia Bianca: "Il nostro compito è di pregare, come quello di una lampada è far luce. A nessuno verrebbe in mente di accendere una lampada per illuminarne un'altra". Il MACS intende seguire lo stesso principio: illuminare. Su un tempo, il nostro, reso oscuro dal relativismo e dall'afasia, dall'indifferenza”. Protagonista dell’inaugurazione del MacS l’artista catanese Alfio Giurato classe 1978. Dopo essersi diplomato all’Istituto Statale d’Arte si laurea all’ Accademia di Belle Arti della sua città nel 2005. Vive e lavora a Catania. Di lui scrive Agazzani: “Gli interrogativi che la sua pittura ci pone (...) rappresentano la reazione intellettuale ai quesiti ed alle inquietudini poste da un'epoca all'inizio del proprio collasso. Giurato si pone in questo contesto con una soluzione estrema, non mediata da alcun compromesso e priva di qualunque protezione, consolazione, rifugio. Una pittura che nasconde e nega il suo passato, o tenta di farlo, ma che scopertamente non si nega il ricorso ad una drammaticità teatrale caravaggesca, nell'utilizzo di tagli luminosi drammaticamente estremi e resi ancora più esasperati dall'utilizzo violento di un colore mai naturalistico”.

Salvo Cifalinò  

Dietro l'Italia sofferente




Lo so rischio, di essere tacciato di banale ipocrisia, dicendo che se fossi io al posto di un illustre politico a percepire una pensione superiore ai 30.000 euro al mese, mi porrei un serio problema di coscienza. Invece queste persone, si vedono passare tanto sereni, ognuno con la propria ragione, con la propria disinvoltura, tanti discorsi, tante risate e alla fine una grande certezza che non si sono resi conto del momento gravissimo della economia delle famiglie italiane. Poi c’è il pensionato più ricco d’Italia che percepisce 90.000 euro al mese, il deputato che, con un solo giorno di presenza in parlamento, potrà contare su una pensione per tutta la vita. Ci sono pensioni che si accavallano, doppie, triple e quadruple. Insomma tutto perfettamente legale, quando si devono sistemare delle cose che li riguardano vengono applicate le leggi con sorprendente rapidità e si concretizzano sorprendentemente con l’abbattimento delle difficoltà burocratiche che, in Italia ci rendono noti nel mondo. Lode a Mario Giordano, senza di lui forse nessuno avrebbe avuto queste notizie. Uno stile giornalistico semplice, diretto con il solo scopo di dare un’informazione. Con la sua voce sottile e la sua grande onestà, nel suo ultimo libro “Sanguisughe” mette il dito nel labirinto delle pensioni d’oro, ai privilegi, agli abusi della previdenza, che gravano sulle spalle dei contribuenti mettendo a rischio il futuro dei nostri figli.
Dietro l’Italia sofferente come si fa a non ricordarsi del referendum abrogativo promosso dai Radicali italiani nell’aprile 1993 che vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti? Altro che democrazia e sovranità popolare. Nello stesso Dicembre del 1993 il Parlamento, in barba alla sovranità popolare, aggiorna  la già esistente legge sui rimborsi elettorali e viene subito applicata, in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994, erogando per l’intera legislatura in una unica soluzione 47 milioni di euro. E così via fino ad arrivare ai nostri giorni, con le note mostruose degenerazioni, circa l’impinguamento discrezionale di spesa a titolo di rimborsi elettorali. Nella Regione Lazio venivano effettuati tagli alla sanità, sopprimendo posti letto agli ospedali per consentire l’increscioso gonfiamento dei capitoli di rimborso elettorale. Una valanga di denaro pubblico sperperato in mano a persone spregiudicate, artefici delle note vicende giudiziarie, fino all’inaudito caso dell’investimento in Tanzania.
Dietro l’Italia sofferente, resto ancora sgomento, quando nei telegiornali si affaccia il parlamentare di turno affermando che si sta studiando per cercare le risorse economiche per fare fronte al mancato gettito dell’IMU, la tanto odiata tassa della prima casa che si vuole sopprimere. Insomma nessuno pensa che è necessario andare ad incidere sulla spesa dello stato che pare sia tanto quanto quella di Francia, Germania e Inghilterra messi insieme.
Dietro l’Italia sofferente, si parla di aiuti di stato per 3,9 miliardi di euro alla banca Monte dei Paschi di Siena, diciamo per colmare disastri gestionali, tanto per essere generosi, e senza altre definizioni, per non procurarci ancora crepacuore. Pare che, in linea di massima, sia l’equivalente al gettito della tassa della prima casa, cioè quei soldi estorti alle famiglie che, con grandi sacrifici, hanno coronato il sogno di avere un nido proprio e che, nella maggior parte dei casi, stanno pagando ancora il mutuo, proprio quei soldi potranno essere destinati a rimpinguare le casse della banca senese.
Dietro l’Italia che soffre, che dire del caso ILVA di Taranto? Stupisce più che mai vedere quanto lo stato sia sconnesso nei suoi organi e nei suoi provvedimenti, capace solo di produrre disastri sopra disastri alla povera gente. Come si può pensare, in un momento economicamente così tragico, mettere in difficoltà una azienda che, con tutto l’indotto, dà lavoro a 40.000 persone? L’ILVA è una risorsa italiana che fornisce prodotti siderurgici finiti ai mercati internazionali ed alimenta ampi settori dell’industria metalmeccanica nazionale e che pone la nazione fra i paesi più industrializzati del mondo. Mi sforzo di capire la logica, l’opportunità e l’obiettivo dei provvedimenti giudiziari nei riguardi di Emilio e Nicola Riva patron dell’ILVA e dell’ex direttore dello stabilimento di Taranto. Come prima iniziativa, non esiste logica e nemmeno opportunità, in un periodo di così grave crisi economica, andare a colpire lo stato maggiore, cioè coloro che rappresentano il cervello del complesso produttivo. Non si possono creare ulteriori disastri alla disoccupazione, non esiste obiettivo perché così andiamo nella direzione della distruzione e non in quella del risanamento. Mi chiedo piuttosto, dopo decenni di attività industriale, ci stiamo accorgendo solo ora che l’industria inquina l’ambiente? Dove sono stati gli organi di controllo dello stato, preposti alla sorveglianza di tale attività industriale? Siamo sicuri che oggi sia questo il modo risolutivo di affrontare l’emergenza? Siamo sicuri che invece non poteva esserci un più proficuo lavoro coordinato tra stato e  magistratura al fine di mettere in atto dei progetti che, prioritariamente, potevano dare la massima garanzia al prosieguo del lavoro aziendale e del mantenimento del potenziale umano lavorativo? Siamo sicuri che, per prudenza, non potevano essere procrastinati e meglio programmati i provvedimenti verso le eventuali responsabilità, sia dei controllati che dei controllori? Siamo sicuri che questi provvedimenti intrapresi rappresentano la maggiore garanzia al programma di risanamento? Anzi, se l’Ilva chiude, ci sarà solo una realtà: altre decine di migliaia di disoccupati, la distruzione dell’industria metalmeccanica nazionale, la dipendenza a reperire materie prime per il fabbisogno nazionale, per quel che rimane viste le delocalizzazioni, dai mercati internazionali e sicuramente l’onere allo stato del risanamento dell’ambiente.
È penoso tuffarsi in queste problematiche e capire che non si procede nella direzione giusta. Continui conflitti di stato, da un lato provvedimenti giudiziari che infliggono colpi mortali alla vita dell’azienda e dall’altro ricuciture del governo solo per frenarne la distruzione. Niente di serio, niente di coordinato, sempre iniziative non finalizzate alla vera soluzione dei problemi. A volte l’assurdità delle azioni fa pensare a un colossale disegno diretto a distruggere quanto di buono ancora esiste. La chiusura dell’Ilva a chi può servire?
                                               
Giovanni Andriano

Siamo ancora appesi a quella trave







A New York nel 1932 la pausa pranzo degli operai che partecipavano alla costruzione dell’RCA  (il principale edificio del Rockefeller Center, oggi proprietà e sede di General Electric), si faceva standosene tranquillamente seduti su una trave. Finzione o realtà? Quello che conta sono gli undici operai, undici storie, appese ad un cavo. In apparenza la stessa disinvoltura dei loro concittadini, che invece, alla stessa ora, occupavano la sedia di un affollatissimo fast-food. Aprivano il loro porta-pranzo, ritrovando nei pochi grammi del loro panino, un pezzo di casa. Nella loro apparente normalità, nei loro sguardi distesi, nelle loro chiacchiere, se si scruta con attenzione, traspare l’inquietudine e il significato del loro gesto. Vite appese ad un cavo per non rimanere appese alla disperazione. La disperazione di chi è costretto ad accettare le condizioni precarie di quel lavoro che non nobilita l’uomo ma solo gli interessi di chi glielo offre. La dignità, e al contempo disperazione, di chi sfida le regole della natura per cercare di migliorare le regole di quella società civile che non conosce rispetto. Non è difficile intuire i pensieri di questi uomini. La loro protesta è portatrice di un messaggio forte e urlato in silenzio: il loro grido chiede condizioni di lavoro in sicurezza e salari adeguati. Siamo proprio sicuri che si tratti di un mezzogiorno di quasi cento anni fa? Siamo proprio sicuri di trovarci a New York? Forse le distanze sono più brevi di quanto possa sembrare e la “Grande Mela” è proprio accanto a noi, così come il tempo non scorre poi così veloce come pare, oppure la macchina del tempo è già stata scoperta e invece di vivere nel nuovo millennio, ancora oggi, ogni giorno, riviviamo quegli attimi di quel pranzo. Purtroppo, infatti, siamo ancora appesi a quella trave!

Roberta Musumeci

Francesco Foti - Intervista al cantautore




 
Francesco Foti è nato a Giarre (CT) nel 1979 (www.francescofoti.net, NdR). Cantautore e poeta, ha già pubblicato due sillogi di poesia in vernacolo siciliano: “Afotismi”  e “Jettu uci senza vuci”  entrambi prefati da Mario Grasso ed editi dalla Casa Editrice Prova d’Autore. È membro del Gruppo Letterario Convergenze con il quale svolge un’intensa attività culturale in tutta la Sicilia. Nelle vesti di autore ha firmato due canzoni del nuovo disco “IO” di Alessandro Canino in edizioni “ROS group” di Rossano Eleuteri e distribuzione “Self” in uscita il 4 giugno 2013.
Sempre in edizioni “ROS group”, tra qualche settimana uscirà il suo primo singolo dal titolo “L’uomo nero”.


1.      Francesco Foti, cantautore e poeta, cosa è per te la parola?

La parola è un mezzo fondamentale per la comunicazione, specie nel mio lavoro, perché non può esistere una canzone senza parola, come non può esistere poesia senza parola. Anche se in questo secondo caso, il discorso potrebbe diventare molto più complesso, poiché ritengo che una melodia possa da sola esprimere poesia.


2.      In un’epoca in cui tutto deve avvenire e divenire in tempi brevissimi, come vivi il tuo essere artista?

L’epoca attuale, che è quella del consumismo, della globalizzazione e dell’apparire, tende a soffocare la qualità. Le nuove generazioni spesso ignorano i sacrifici che stanno dietro un podio, in riferimento a qualsiasi tipo di traguardo: di un percorso di studi, sportivo o artistico. Purtroppo, si pensa che tutto sia dovuto quando è chiaro che non è così. Se si crede, si ama e si desidera fermamente qualcosa, occorre lottare per raggiungerla, studiare per far sì che il traguardo si avvicini. In TV ci propinano parecchi talent, ma io sono convinto che, il talento da solo non basti, restando una dote fine a sé stessa. Occorrono, appunto, studio e sacrifici. Invece si cerca di far credere che sia possibile ottenere tutto con il minimo sforzo o addirittura senza. È chiaro come questo modo di fare sia finalizzato a confezionare un prodotto di consumo “usa e getta”, perché, com’è vero che in tre mesi si fa credere di essere diventati artista, è altrettanto vero che poco dopo, il 90% di questi “artisti” si possa ritenere finito perché la TV urla impietosa “avanti il prossimo”.
Personalmente, sono sempre stato educato ai sacrifici e al sudore perché sono le uniche due cose che ripagano realmente, seppur in tempi più lunghi.


3.      In un tempo scandito dai ritmi frenetici di smartphone e tablet, come scrivi le tue canzoni?

Indubbiamente la tecnologia è di grande aiuto, spesso registro al volo una melodia, canticchiandola al registratore del telefonino, per non farla dileguare. Quindi, non appena possibile prendo chitarra, carta e penna ed affino il tutto.
Non mi privo neanche di utilizzare una vecchia macchina da scrivere; in verità lo faccio più quando scrivo poesie in seguito ad un flusso creativo. Ritengo che la macchina da scrivere con i suoi caratteri impressi con forza sulla carta, creando rilievi e piccole fossette, aiuti a mantenere una visione romantica della vita. E poiché mi considero un nostalgico romantico, adoro particolarmente tutto ciò che conserva in sé un aspetto ed un sapore antico. Di questo potrei parlare ore ed ore senza mai stancarmi, quindi magari al momento mettiamo un punto qui (lo dice ridendo, NdR).


4.      Com’è nata la collaborazione con Alessandro Canino che tutti ricorderanno per la canzone “Brutta” che lo rese celebre negli anni novanta?

La collaborazione con Alessandro Canino è nata grazie al mio produttore Rossano Eleuteri. Sia io che Alessandro siamo entrati a far parte della “scuderia” ROS group (www.rosgroup.it, NdR) più o meno nello stesso periodo e subito dopo ci siamo ritrovati in studio a Rovereto, che si trova in provincia di Trento. Durante il lavoro di scelta delle mie canzoni per il mio disco, Rossano che è lungimirante ha capito subito che alcuni miei brani, con alcune modifiche e adattamenti, sarebbero stati perfetti per il disco di Alessandro, che ha ben accolto la collaborazione apportando una classe indiscutibile: da lì è nato un lavoro a sei mani per le due canzoni che sono “L’amore è amore” e “Sarai”. Ovviamente mi ritengo molto fortunato di poter vantare una collaborazione di questo livello con due artisti che, nonostante abbiamo ciascuno un curriculum così importante, mantengono costante una profonda umiltà.


5.      “L’uomo nero” è il tuo primo singolo, che anticipa l’uscita del tuo primo album. Il brano affronta il delicato tema della pedofilia in chiave quasi fiabesca: come nasce?

Il brano nasce come una dolce ninna nanna con la parola “nero” che salta qua e là tra le sue note. Pensando ai diritti dell’uomo e nello specifico a quelli dei bambini che sono sempre vittime innocenti. La “fusione” di parole e musica è stata un’alchimia incredibile, ho buttato tutto giù di getto senza fermarmi, limando solo pochissimo in seguito il testo. Il risultato è molto equilibrato ed efficace, e ritengo che la canzone mantenga una sua aura fiabesca nonostante la tematica trattata sia molto cruda. L’arrangiamento curato da Rossano Eleuteri ha conferito al tutto una morbidezza e un’atmosfera da sogno.

Roberta Musumeci

Falcone e Borsellino



Falcone e Borsellino

Due vite dedicate alla lotta alla Mafia

Maggio - Luglio ’92, a Capaci ed in via d’Amelio, in date ravvicinate, la mafia colpisce due giudici impegnati contro la criminalità organizzata, Falcone, compresa la moglie, e Borsellino, a fargli da scudo gli agenti di scorta uccisi nell’attentato. Giudicati estremamente pericolosi e ritenuti “vecchi nemici di “Cosa nostra”, già agli inizi degli anni ’80 con decisione venne dichiarata la loro morte, e definita nel ’91 dal Capomafia di Corleone, Salvatore Riina. Nel ’92 vennero riprese le immagini dell’attentato. Dopo 19 anni, è stato rilevato un importante dettaglio, una presunta agenda rossa, che coinciderebbe con quella di Borsellino, ancora oggi scomparsa. Il procuratore, Lari, dichiara: “Verranno effettuate tutte le verifiche per accertare la verità”. Inoltre venne prosciolto per mancanza di prove un ufficiale dei carabinieri, indagato per essere stato ripreso con la valigetta di Borsellino, che si dirigeva nella direzione opposta all’attentato, ritrovata  vuota nell’auto vicino al corpo.
Ad oggi l’ esposto anonimo, inviato al pm di Palermo, Di Matteo, ha aperto un fascicolo riguardante i dettagli citati nel dossier e le presunte trattative Stato – mafia, dichiarando il procuratore capo di Caltanissetta, Lari: “Vi sono in atto delle verifiche investigative, non posso dire come ci stiamo muovendo, ma posso assicurare che lo stiamo facendo con la massima prudenza”. Sono passati 21 anni dagli attentati che hanno turbato l’ Italia, dal 2002 viene celebrata la cerimonia di commemorazione di tutte le vittime delle stragi mafiose, in un progetto promosso dal Miur e dalla fondazione Giovanni e Francesca Falcone, in cui parteciperanno più di 1300 studenti che salperanno nelle 2 Navi della legalità, ribattezzate Giovanni e Paolo, dirette a Palermo nell’aula bunker del maxi-processo, Ucciardone, per dire “No alla mafia” e per “non dimenticare”.    
  
 La mafia ancora esiste, le stragi, i depistaggi nelle indagini, gli accordi segreti tra Stato – mafia e gli esponenti corrotti delle istituzioni continuano ad esserci, ma qualcosa è cambiato. Dallo sforzo di tanti uomini di giustizia per sconfiggere la criminalità organizzata al ridimensionamento del potere mafioso,  decapitando la cosiddetta “cupola”, annientata dalla perseveranza dei due giudici che hanno lottato contro la mafia.

Citando alcune dichiarazioni di Falcone e Borsellino: “La mafia non è invincibile, è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”; “Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo, continuando la loro opera…dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo”; “In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato, che lo Stato non è riuscito a proteggere…si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”; “La sua vita è stata un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato”.


Elisa Spampinato

Donne strappate alle vita






In quest’ultimo anno 2013 i casi di femminicidio e di stupro hanno preso il sopravvento, quasi ogni giorno sentiamo dai mezzi di informazione notizie di cronaca che riguardano i casi citati precedentemente, molto spesso con un risvolto negativo, con l’uccisione della compagna, della ex, della moglie o della ragazza, pochi sono i casi in cui la vittima con tutte le sue forze cerca di salvarsi, e da quest’ultima azione solo per essersi difesa, l’uomo, l’ex, che non accetta la fine di un rapporto, il compagno spesso di una vita, cerca di prevaricare con tutte le sue forze su quel corpo indifeso, già picchiato, massacrato di botte o difettato, con qualche osso rotto, o ancor peggio estirpata violentemente la bellezza di quella donna, sfigurata, anche con quella diabolica sostanza, che toglie il respiro, che mangia la pelle, che non lì permetterà di specchiarsi e di vedere il proprio volto, il proprio corpo, ma dentro solo un enorme vuoto, una non comprensione del gesto di quell’ uomo di cui tanto si era innamorata.  
Un raptus, un gesto folle, incontrollabile che colpisce ferocemente l’ uomo, forse quell’ uomo geloso, possessivo, che pensa di avere una proprietà esclusiva della propria donna, intesa non di appartenenza di un sentimento che lì lega, ma di appartenenza oggettiva, malata, irrefrenabile, che urta il suo io meschino e dominatore, attribuendo alla donna il compito di obbedienza assoluta, solo per danneggiare e passarsi il capriccio di manifestare quel sentimento che nutre di frustrazione, insoddisfazione e di malessere, che lo percuote da tempo e lo avventa sulla donna che possiede, quel sentimento di amore che è solo suo e di nessun altro, oppure avventandosi sulla prima donna che ha mirato, che accidentalmente si trova nel posto e nel momento sbagliato.
L’ultimo caso feroce, divulgato ed appreso dalle notizie di cronaca in questi giorni, ha colpito una giovane ragazzina adolescente, di soli 16 anni e tutta una vita davanti, che le è stata strappata spietatamente e disumanamente la sua esistenza. Uccisa con 20 coltellate e poi appiccato il fuoco, su quel corpicino ancora vivo, è quello che è stato dichiarato, dopo insistenze, dal fidanzato della vittima, sotto interrogatorio dal pm della Procura di Rossano. Giustificando il suo gesto, senza neanche un minimo di pentimento per la gravità compiuta, dichiarando, che la giovane ragazza l’aveva aggredito, e lui l’ ha accoltellata, più volte, il tutto era iniziato con la lite rivolta alle frequentazioni nel periodo in cui avevano interrotto la relazione.
Gli amici di Fabiana raccontano di un rapporto morboso nei confronti della ragazzina, fino ad arrivare, spesso, il giovane fidanzato a picchiarla. La famiglia non vuole parlare, è chiusa nel proprio dolore, la mamma della ragazza rivuole indietro sua figlia, uccisa barbaramente ed ingiustamente.
La rabbia del Paese esplode già nella serata del ritrovamento del cadavere carbonizzato della ragazza e del fermo del ragazzo, la famiglia conosciuta in paese per le attività commerciali del padre, gli abitanti di Corigliano Calabro, dichiarano: “Troppo grande quello che ha fatto, dovrebbero ammazzarlo”. L’arcivescovo del paese, interviene: “Mi auguro che si stronchino i toni accesi della rabbia e della vendetta e si trovino i gesti di solidarietà, amore, perdono per non far sentire sole le vittime di questa tragedia, gesto orribile e violento che certamente esige una condanna precisa”.
Non sò fino a che punto si possa perdonare per gesti ignobili, disumani come questo, uccisa atrocemente per gelosia. Genitori, parenti, amici della vittima cercano dentro di loro di ritrovare quell’equilibrio meditato e spezzato, che mai risanerà quell’assetto famigliare costruito e voluto.
Il ruolo della donna nella nostra società è molto cambiato rispetto a qualche anno fa, la sua emancipazione, la sua indipendenza ha portato nell’uomo la non attribuzione di un assoluto potere, ma l’alleanza di poter governare insieme. Oggi giorno la donna assume all’ interno della società compiti, responsabilità, che molte volte scavalcano l’ uomo, quell’ uomo costruito secondo un preciso schema regresso, che non vuole essere comandato, solo perché è al di sotto di un capo donna, e pensa di poter permettersi di fare e dire tutto ciò che vuole, ma non è così, è una classificazione di un uomo sciocco, prepotente, che non ha regole, ma che le impone agli altri, quelle regole stesse che sono tanto fondamentali per il quieto vivere civile, che vengono scavalcate molte volte da atteggiamenti aggressivi, disonesti, come il caso annunciato del fidanzato geloso, a cui non  rimarrà nulla, ma solo le immagini, il pensiero dell’ orribile omicidio, gesto di follia da cui verrà sempre visto con occhi di sfiducia, ma che adesso nell’omicida, condannato, per sempre, dal gesto orribile commesso, questo aspetto sottile è trascurato. 
Elisa Spampinato