Lo so
rischio, di essere tacciato di banale ipocrisia, dicendo che se fossi io al
posto di un illustre politico a percepire una pensione superiore ai 30.000 euro
al mese, mi porrei un serio problema di coscienza. Invece queste persone, si
vedono passare tanto sereni, ognuno con la propria ragione, con la propria
disinvoltura, tanti discorsi, tante risate e alla fine una grande certezza che
non si sono resi conto del momento gravissimo della economia delle famiglie
italiane. Poi c’è il
pensionato più ricco d’Italia che percepisce 90.000 euro al mese, il deputato che,
con un solo giorno di presenza in parlamento, potrà contare su una pensione per
tutta la vita. Ci sono pensioni che si accavallano, doppie, triple e quadruple.
Insomma tutto perfettamente legale, quando
si devono sistemare delle cose che li riguardano vengono applicate le leggi con
sorprendente rapidità e si concretizzano sorprendentemente con l’abbattimento
delle difficoltà burocratiche che, in Italia ci rendono noti nel mondo. Lode
a Mario Giordano, senza di lui forse nessuno avrebbe avuto queste notizie. Uno
stile giornalistico semplice, diretto con il solo scopo di dare un’informazione.
Con la sua voce sottile e la sua grande onestà, nel suo ultimo libro
“Sanguisughe” mette il dito nel labirinto delle pensioni d’oro, ai privilegi, agli
abusi della previdenza, che gravano sulle spalle dei contribuenti mettendo a
rischio il futuro dei nostri figli.
Dietro
l’Italia sofferente come si fa a non ricordarsi del referendum abrogativo
promosso dai Radicali italiani nell’aprile 1993 che vede il 90,3% dei voti
espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti? Altro
che democrazia e sovranità popolare. Nello stesso Dicembre del 1993 il
Parlamento, in barba alla sovranità popolare, aggiorna la già esistente legge sui rimborsi elettorali
e viene subito applicata, in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994,
erogando per l’intera legislatura in una unica soluzione 47 milioni di euro. E
così via fino ad arrivare ai nostri giorni, con le note mostruose
degenerazioni, circa l’impinguamento discrezionale di spesa a titolo di rimborsi
elettorali. Nella Regione Lazio venivano effettuati tagli alla sanità,
sopprimendo posti letto agli ospedali per consentire l’increscioso gonfiamento
dei capitoli di rimborso elettorale. Una valanga di denaro pubblico sperperato
in mano a persone spregiudicate, artefici delle note vicende giudiziarie, fino
all’inaudito caso dell’investimento in Tanzania.
Dietro
l’Italia sofferente, resto ancora sgomento, quando nei telegiornali si affaccia
il parlamentare di turno affermando che si sta studiando per cercare le risorse
economiche per fare fronte al mancato gettito dell’IMU, la tanto odiata tassa
della prima casa che si vuole sopprimere. Insomma nessuno pensa che è
necessario andare ad incidere sulla spesa dello stato che pare sia tanto quanto
quella di Francia, Germania e Inghilterra messi insieme.
Dietro
l’Italia sofferente, si parla di aiuti di stato per 3,9 miliardi di euro alla
banca Monte dei Paschi di Siena, diciamo per colmare disastri gestionali, tanto
per essere generosi, e senza altre definizioni, per non procurarci ancora
crepacuore. Pare che, in linea di massima, sia l’equivalente al gettito della
tassa della prima casa, cioè quei soldi estorti alle famiglie che, con grandi
sacrifici, hanno coronato il sogno di avere un nido proprio e che, nella
maggior parte dei casi, stanno pagando ancora il mutuo, proprio quei soldi
potranno essere destinati a rimpinguare le casse della banca senese.
Dietro
l’Italia che soffre, che dire del caso ILVA di Taranto? Stupisce più che mai vedere
quanto lo stato sia sconnesso nei suoi organi e nei suoi provvedimenti, capace
solo di produrre disastri sopra disastri alla povera gente. Come si può pensare,
in un momento economicamente così tragico, mettere in difficoltà una azienda
che, con tutto l’indotto, dà lavoro a 40.000 persone? L’ILVA è una risorsa
italiana che fornisce prodotti siderurgici finiti ai mercati internazionali ed
alimenta ampi settori dell’industria metalmeccanica nazionale e che pone la
nazione fra i paesi più industrializzati del mondo. Mi sforzo di capire la logica,
l’opportunità e l’obiettivo dei provvedimenti giudiziari nei riguardi di Emilio
e Nicola Riva patron dell’ILVA e dell’ex direttore dello stabilimento di
Taranto. Come prima iniziativa, non esiste logica e nemmeno opportunità, in un
periodo di così grave crisi economica, andare a colpire lo stato maggiore, cioè
coloro che rappresentano il cervello del complesso produttivo. Non si possono
creare ulteriori disastri alla disoccupazione, non esiste obiettivo perché così
andiamo nella direzione della distruzione e non in quella del risanamento. Mi
chiedo piuttosto, dopo decenni di attività industriale, ci stiamo accorgendo solo
ora che l’industria inquina l’ambiente? Dove sono stati gli organi di controllo
dello stato, preposti alla sorveglianza di tale attività industriale? Siamo
sicuri che oggi sia questo il modo risolutivo di affrontare l’emergenza? Siamo
sicuri che invece non poteva esserci un più proficuo lavoro coordinato tra stato
e magistratura al fine di mettere in
atto dei progetti che, prioritariamente, potevano dare la massima garanzia al
prosieguo del lavoro aziendale e del mantenimento del potenziale umano lavorativo?
Siamo sicuri che, per prudenza, non potevano essere procrastinati e meglio
programmati i provvedimenti verso le eventuali responsabilità, sia dei
controllati che dei controllori? Siamo sicuri che questi provvedimenti
intrapresi rappresentano la maggiore garanzia al programma di risanamento? Anzi,
se l’Ilva chiude, ci sarà solo una realtà: altre decine di migliaia di disoccupati,
la distruzione dell’industria metalmeccanica nazionale, la dipendenza a
reperire materie prime per il fabbisogno nazionale, per quel che rimane viste
le delocalizzazioni, dai mercati internazionali e sicuramente l’onere allo
stato del risanamento dell’ambiente.
È penoso
tuffarsi in queste problematiche e capire che non si procede nella direzione
giusta. Continui conflitti di stato, da un lato provvedimenti giudiziari che
infliggono colpi mortali alla vita dell’azienda e dall’altro ricuciture del governo
solo per frenarne la distruzione. Niente di serio, niente di coordinato, sempre
iniziative non finalizzate alla vera soluzione dei problemi. A volte
l’assurdità delle azioni fa pensare a un colossale disegno diretto a
distruggere quanto di buono ancora esiste. La chiusura dell’Ilva a chi può
servire?
Giovanni Andriano
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