Nel ‘40 e
nel ‘69 molta gente italiana dalla Libia dovette lasciare in massa la loro
proprietà, a causa, prima della 2° guerra mondiale, poi, del colpo di stato di
Gheddafi, che riteneva il re ed il suo successore sottomessi agli Stati Uniti e
alla Francia. Quest’ultimo si impossessò della Libia trasformandola in un
regime di dittatura alle sue dipendenze, imponendo delle restrizioni di ogni
bene, fino a costringere la gente
italiana a dover lasciare il Paese entro la data stabilita degli anni ’70. Dal
’70 la Libia celebra il “Giorno della vendetta” dal sequestro di tutti i beni e
dall’espulsione di 20.000 Italiani. Una giovane ragazzina, che dovette lasciare
come tanti Tripoli, Angelina Petralia, Tripolina di nascita, ritornerebbe
subito nel suo Paese di origine. A Tripoli il variegarsi di etnie portava una
ricchezza interiore al Paese. Le attività culturali della cattedrale raccoglievano diversi impegni come la
divulgazione di notizie, oltre al raccoglimento di culto, per non dimenticare
il benvenuto di riconoscimento dato al sovrano salito al potere di tutta la
comunità italiana, quest’ultima si sentiva parte essenziale della città.
Ottimi, ma occasionali i rapporti di scambio con la gente locale araba, ogni
comunità viveva al proprio interno. Bastava poco per divertirsi, da un
motivetto cantato, ad andare al cinema ogni tanto, una vita tranquilla e
semplice come gli arabi, che nel giorno del Ramadàn nessuno si cibava, ma al
tramonto riprendevano allegramente la loro vita. La nostalgia di Angelina
Petralia è evidente, non sò quante volte ritornerebbe nella sua patria, se non
fosse per il divieto espresso ai Tripolini italiani di non rientrare in Libia. La sua stessa patria invasa dalla dittatura, e da
quel potere di appropriarsi di tutti i beni altrui e di sconfinare fino ad
escludere e a vietare quella aggregazione di rapporti culturali che tanto erano
essenziali per la comunità.
Elisa Spampinato
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